… DACCI OGGI IL NOSTRO “ALLOGGIO” QUOTIDIANO…
a cura di Antonio Memoli
La vicenda delle Vele di Scampia a Napoli
Memorie e documentazioni della partecipazione dell’Autore al percorso di mutamento delle condizioni abitative delle Vele di Scampia
Preambolo
Il disagio abitativo sottende, anche se espresso con una terminologia generica, un drammatico fenomeno di marginalità negli agglomerati urbani, assieme di “scarti” sociali indotti dalle crisi economiche o di nuclei familiari sempre più travolti da nuove incipienti povertà, vistosi degradi delle condizioni abitative e ambientali dei contesti metropolitani.
Nella conurbazione napoletana queste marginalità sono state il prodotto della commistione tra condizioni orografiche e insediative, esplosioni demografiche, saldatura delle aree tra la città ed il suo entroterra e tra i centri stessi dell’entroterra, frequente assenza di capacità e/o di volontà di controllo dei comuni sui processi di crescita territoriale, con il conseguente incremento di una condizione urbana alienante, uno stato di sofferenza che ha inciso e incide sul quotidiano di ogni cittadino.
La periferia si è moltiplicata in decine di periferie, ha visto annullarsi i luoghi del territorio produttivo sostituiti spesso con “non luoghi”.
Se la città connota sue parti come opportunità di relazioni, di fruizione di attrezzature, di scambi di informazioni, di offerte di merci, di occasioni culturali, di godimento di bellezze ambientali, queste parti e queste opportunità determinano forti valori di mercato e quindi rendite di posizione dalle quali sono escluse le fasce della cittadinanza deboli o in via di indebolimento, fasce per le quali si è acutizzato progressivamente il degrado abitativo o la privazione della dimora, peculiarità significative di sofferenze e malesseri.
La variazione della preghiera in “dacci oggi il nostro alloggio quotidiano” potrebbe costituire una invocazione coerente con sofferenze e malesseri endemiche dei nostri tempi.
Prefazione
La vicenda delle Vele di Scampia che viene riportata in questo sito è stata ricostruita principalmente attraverso la documentazione archiviata dall’autore in 36 anni di rapporto e di supporto al Comitato Vele di Scampia, parte del percorso professionale di architetto tesa anche ad indagare e intervenire nei contesti territoriali dove si è maggiormente incardinato il rapporto tra degrado urbano e disagio sociale. Rapporto spesso conseguenza nella pianificazione del dopoguerra di utopistici riferimenti al vissuto (nel caso delle Vele, ad esempio, le passerelle interpiano a riproduzione del vicolo napoletano??!!), sottordinati a contesti urbani “innovativi ed eccezionali” da subito rilevatisi invece fallimentari, distanti dalla concretezza delle esigenze della cittadinanza.
Allo stesso tempo il percorso articolato e gli esiti proficui di questa vicenda non si sarebbero verificati senza che i componenti del Comitato, succedutisi nel lunghissimo arco di tempo, acquisissero prima la consapevolezza di essere stati cavie in “stabulari” abnormi e alienanti e che, di conseguenza, reagissero confrontandosi anche aspramente con le istituzioni per imporre un corretto diritto all’abitare.
Le documentazioni riportate in queste “memorie in corso” sono una parte di quanto archiviato dall’autore nei trentasei anni di contiguità e contributo al dispiegarsi della vicenda Vele di Scampia, così come sono archiviati i documenti relativi al suo impegno per la demolizione del fatiscente e invivibile Rione Sant’Alfonso e la sua ricostruzione nel Rione di Poggioreale tra gli anni ’80 e ‘90. Si è trattato di esperienze professionali di architetto nelle quali il ruolo di obiettore di modelli insediativi contrassegnati dal dissolvimento di utopie progettuali è stato associato alle rivendicazioni esplose in quei contesti aberranti e alle proposte tecniche di supporto a quelle rivendicazioni.
L’esperienza professionale di un architetto, frequentemente incentrata sulla progettualità della residenza, può essere coinvolta dalle condizioni critiche dell’abitare laddove, come nelle Vele o nel Sant’Alfonso, è stato clamorosamente disatteso il riconoscimento della casa come rifugio accogliente, bene primario per l’individuo 1 e, quindi, come diritto all’abitare.
A dare senso a questa esperienza professionale è la convinzione che il trasferimento di 1700 nuclei familiari 2 da una condizione di isolamento, di ghettizzazione, di frustrazione (a volte di devianza) a contesti urbani favorevoli agli scambi e alle relazioni possa avere indotto percorsi di cittadinanza attiva, raggiungimento di opportunità conseguite all’orizzonte di un percorso rivendicativo complesso ma proficuo.
Il sito è articolato in 15 sezioni che riportano, dalle documentazioni archiviate, stralci dei successivi avvenimenti della vicenda (tabella azzurra), commenti e citazioni (tabella gialla), e di seguito articoli, comunicati, manifesti, volantini, immagini e video accumulatisi nel lunghissimo iter di questa esperienza.
Antonio Memoli, aprile 2024