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Sezione 3

Iniziative per rivendicare il diritto ad un abitare alternativo eliminando il contesto edilizio totalmente degradato e invivibile

3.1
Costituzione e insediamento una Commissione Tecnica per valutare modalità di interventi sulle Vele

20 ottobre 1988 – La mobilitazione indotta dal Comitato sulla questione Vele induce la conferenza dei Capigruppo del Comune di Napoli a costituire e insediare una Commissione Tecnica per accertare responsabilità e possibilità di intervento atte a modificare radicalmente le condizioni abitative. La Commissione, istituita dall’Assessore all’Edilizia Salvatore Abruzzese con il compito di valutare modalità di interventi sulle Vele al fine di individuare diverse condizioni abitative per gli abitanti (demolizioni o risanamento?), composta da Prof. Arch. Vincenzo Andriello, Arch. Antonio Memoli, Prof. Arch. Domenico Orlacchio, Ing. Bruno Palazzo, Prof. Arch. Uberto Siola, già nel marzo dello stesso anno conferma i guasti denunciati nelle assemblee con rilievi particolari sulle condizioni statiche, sulle caratteristiche termoigrometriche, sull’agibilità dei sistemi tecnologici, sulle condizioni abitative e urbanistiche.
10 giugno 1989 – In conseguenza delle mobilitazioni e delle indicazioni tecniche il Comune delibera di assoggettare i lotti su cui ricadono le Vele (L e M) a Piani di Recupero ai sensi della Legge 457/78.

Ill.mo Sig. Sindaco On. Pietro Lezzi – Assessore all’edilizia abitativa pubblica e privata Dr. Salvatore Abbruzzese – Palazzo San Giacomo Napoli
Oggetto: stato di degrado dei fabbricati siti nella 167 di Secondigliano Lotti L e M “Vele”.
La Commissione tecnica, nominata il 30 gennaio 1989 per valutare il complesso degli interventi organici per superare lo stato di degrado dei fabbricati in oggetto, avendo effettuato diversi sopralluoghi, in attesa di formulare le proposte richieste attualmente allo studio, invita, con la presente, la Pubblica Amministrazione, a provvedere, con la massima sollecitudine, ad alcuni interventi che rivestono particolare urgenza, per garantire la sicurezza e tutelare la pubblica e privata incolumità (revisione sistema fognario, protezione dei contatori elettrici per evitare manomissioni, chiusura con saldatura porte ascensori fuori uso, impermeabilizzazione dei terrazzi di copertura con particolare cura per i giunti di dilatazione, manutenzione accurata di tutti i ballatoi centrali delle “Vele” e delle scalette di collegamento con gli appartamenti, ecc.)
(Da comunicazione della Commissione Tecnica al Sindaco Lezzi e all’Assessore all’edilizia Abbruzzese)

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Sezione 2.4

2.4
Opinioni divergenti sui motivi del degrado -Critica all’autoreferenzialità architettonica

La posizione dell’Arch. Vezio De Lucia, Assessore all’Urbanistica nella Giunta Bassolino (1995), coincideva con quella degli oppositori alle demolizioni attribuendo responsabilità alle amministrazioni pubbliche che avevano avuto in carica la gestione di quegli insediamenti (ricordando oltre alle Vele anche lo ZEN a Palermo, o il Laurentino 38 e Corviale a Roma e tanti altri quartieri di edilizia pubblica realizzati dagli anni ’70) definendo gli abbattimenti “ una sconfitta dello Stato che non è stato capace di governare strutture tanto impegnative” (Venerdì di Repubblica del 26/10/2016).
Il Comitato ha sempre contrastato questa posizione che, focalizzando le cause del degrado a inadempienze dello Stato o delle Amministrazioni locali, sorvolava invece sulle problematicità indotte da criteri progettuali responsabili di induzione di marginalità urbana, addensamenti abitativi, sperimentazioni insediative, come verificatesi a Scampia e come dettagliatamente riportate al precedente punto 2.2.
Tra i propugnatori delle demolizioni erano invece l’Arch. Massimiliano Fuksas (Corriere delle Sera 04/04/2006 p. 23) o Nikos Angelo Salingaros Professore alla Università del Texas (San Antonio) conosciuto per il suo lavoro sulle teorie urbanistica, architettonica e della complessità, di cui si riporta una energica presa di posizione contro gli “ecomostri” pubblicata sul Corriere della Sera del 30/03/2011. Il Prof. Renato De Fusco, a proposito delle Vele, aveva scritto di inadempienze tecniche e di colpevoli inefficienze politico-amministrative.

Contro gli ecomostri
La nostra civiltà tecnicamente avanzata ha il dovere morale di costruire un ambiente che agevola la vita umana e, allo stesso tempo, di proibire costruzioni inumane erette a gloria di qualche ideologia, come furono le piramidi della casta religiosa legata al Faraone. Ebbene, anche presso di noi sono state elevate piramidi: non tombe reali, ma appartamenti per la classe operaia e disoccupata. Nessun borghese sognerà mai, se non in un incubo terrificante, di andare ad abitare in simili prigioni architettoniche, ma l’elite architettonica e politica ha trovato le cavie da chiudervi dentro. Negli anni ’60 le critiche contro questo autentico crimine sociale erano poche; difatti le facoltà d’architettura e i critici con la pipa in bocca li difendevano. Ma oggi sappiamo, grazie ad ampi studi scientifici, che la vita, negli ecomostri, viene distrutta dalla stessa loro geometria. E dunque tempo di rivedere totalmente il concetto di cosa sia la geometria edilizia di un ambiente sano. Oggi sappiamo come costruire ambienti urbani e architettonici sani.
Le Vele di Scampia non sono che un esempio fra molti di questa architettura inumana, totalitaria, tipica degli anni ‘60 e ‘70.
(Estratto dalla presa di posizione del Prof. Nikos Angelo Salingaros 1 contro gli “ecomostri” pubblicata sul Corriere della Sera del 30/03/2011) (vedi Nota 4)

Video tratto da “Crash – I luoghi e la Storia“, RaiCultura
Video tratto da “Crash – I luoghi e la Storia“, RaiCultura
  1. Nikos Angelos Salingaros (Perth1952) è un matematico e divulgatore scientifico, conosciuto per il suo lavoro sulla teoria urbanistica. ↩︎
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Sezione 2.3

2.3
Vele di Scampia – Dentro i luoghi dello “scarto”
Dissolvimento dell’utopia progettuale – Fallimento del riscatto sociale

La dicotomia tra gli intenti progettuali e gli esiti insediativi è divenuta dagli inizi palese e macroscopica. I riferimenti disciplinari al rapporto tra cellula abitativa e zone di integrazione comune come nelle “Unité d’habitation” di Le Corbusier si scontrano con le immediate condizioni di inabitabilità degli alloggi e dei relativi nuclei familiari. Il Piano urbanistico incentrato su grandi unità abitative destinate ad integrarsi in comunità degenera in un ghetto, fallimento dell’utopia di riscatto sociale

A Scampia invece ciascun “edificio” è caratterizzato da quattro blocchi disposti parallelamente a due a due rispetto all’elemento di distribuzione principale. Tra i due blocchi paralleli, dal quasi identico profilo, corre un sistema di ballatoi inseriti nel vuoto centrale e disposti alla quota intermedia tra i due piani degli alloggi. Dal ballatoio centrale si dipartono le scale che servono gli alloggi. Come architetti non si può non rimanere affascinati dall’invenzione tipologica, geniale e interessante quasi quanto quella dell’Unité d’Habitation, ma l’effetto sull’ abitare è, secondo chi scrive, devastante (e lo sarebbe stato anche senza modifiche). Nell’ Unitè ciascun ballatoio è una strada urbana sulla quale si affacciano un numero “concluso” di alloggi; nelle Vele ciascun ballatoio rappresenta una strada da cui si dipartono stradine secondarie in una sorta di quadro Escheriano che ricorda le prigioni di Piranesi o, per altri versi, una più napoletana memoria dei Granili descritti da Anna Maria Ortese. L’idea dei due corpi accostati ….. nasceva dall’ipotesi di poter “moltiplicare” il vicolo napoletano n/2 volte i piani dell’edificio. Ma un vicolo ha una sola superficie orizzontale, sulla quale si affaccia una vita domestica via via più privata a mano a mano che si va verso un alto che “finisce” e lascia vedere un cielo… E’ questo, probabilmente, il grande limite di questo progetto… l’ipotesi che l’”Architettura” potesse coniugare antico e nuovo attraverso la sintesi di grandi archetipi e modelli, che l’ “idea” fosse sufficiente per poter ricostruire “in vitro” la struttura di relazioni materiali e immateriali della città storica, indipendentemente dal sistema di dimensioni e di proporzioni degli spazi… un problema di Bigness (Koolhaas 1995) o forse solo il grande scoglio sul quale si sono infrante le Vele, e con esse molte altre utopie italiane, prodotte dall’ “Architettura” con la A maiuscola, la stessa alla quale viene chiesto, oggi, di fare un passo indietro: non tanto per ridimensionare la sua azione quanto per modificare il suo sguardo e la sua logica interpretativa.
(In EWT │ Eco Web Town n°17 – Vol. I/2018 p. 95: intervento della Prof.ssa Paola Scala – Professore di composizione architettonica e urbana al Dipartimento di Architettura della Università Federico II di Napoli).
(Vedi anche intervento Arch. Antonio Memoli 11/10/1991) (riportato in Nota 3)

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Sezione 2.2

2.2
Problemi e criticità – Una desolata estraneità del luogo alla normalità del vivere e del muoversi – riferimenti al “basso” napoletano
Cinque indicatori critici legati al contesto urbanistico e edilizio

Se è vero che i mali endemici di Napoli, come la criminalità organizzata o la mancanza di lavoro generano malesseri e violenze sociali ovunque, nel caso della Vele è indiscutibile e comprovato come l’ambiente urbano e edilizio influenzi in negativo i comportamenti. Qui, nel luogo delle “Vele”, si sono sommati errori, mancanze, ritardi e inadempienze che non potevano che provocare l’infernale condizione di vita che perdura ancora oggi. E’ così che gli strati più deboli della popolazione, incapaci spesso di filtrare criticamente modelli comportamentali indotti dai “media”, si sono ritrovati in un luogo di vita traumatizzante e non rassicurante.
Cinque indicatori legati al contesto urbanistico ed edilizio ci sembrano significativi dell’ineludibile rapporto tra degrado urbano e disagio sociale:
1) L’ambiente del mega quartiere popolare prodotto da una discutibile cultura urbanistica. Esso ha indotto una forma di “idiotismo urbano”, appiattendo la complessità della evoluzione della città in quartieri monouso, dormitori per emarginati, inadatti ad assumere un ruolo funzionale nella crescita della città, con ritardi incolmabili nella realizzazione di tutte le attrezzature di relazione sociale, con i comparti abitativi concepiti come cellule urbane avulse dal contesto e collocate in un sistema stradale isolante e finalizzato solo alle percorrenze veloci.
2) La progressiva mutazione dei modelli edilizi del quartiere popolare da edifici di modeste volumetrie a contenitori abnormi e alienanti, derivanti probabilmente anche da equivoche limitazioni dei costi, che ha prodotto insediamenti a forte problematicità sociale come, oltre alle “Vele”, lo ZEN a Palermo o il Corviale a Roma.
3) La sperimentazione progettuale non soggetta a forme adeguate di controlli. Il progetto originario delle Vele vincitore in un concorso di edilizia residenziale pubblica degli anni sessanta, licenziato “con plauso” dalla commissione edilizia del Comune di Napoli e la successiva variante esecutiva operata dalla Cassa del Mezzogiorno si fondano su elementi che divengono rapidamente concausa del degrado, ad esempio l’affollamento fino a 240 famiglie per complessi edilizi; la congestione conseguente dei percorsi orizzontali e verticali, oltretutto pericolosissima in condizioni di emergenza, la tipologia edilizia a corpi affiancati alti più di 40 metri ma distanti solo 8 metri, con l’oscuramento totale e continuo di un lato dell’alloggio; le passerelle e le scale di accesso agli alloggi sospese nel vuoto, non protette dagli effetti degli agenti atmosferici, che, del vicolo napoletano, conservano solo l’incivile introspezione visiva che è possibile nei “bassi”.
4) Le tecnologie costruttive nei particolari tecnici realizzati con evidenti carenze. Molte condizioni di precarietà nell’abitabilità degli alloggi sono state conseguenti ad approssimazioni progettuali o di controllo come la grave carenza di coibentazione sui pannelli di tompagno, la persistente umidità di condensa e il permanere costante di muffe sulle pareti interne o come la rapida ossidazione delle lamiere sagomate che costituiscono le scale d’accesso ai singoli alloggi.
5) La gestione, la manutenzione e la vigilanza assolutamente assenti. La definitiva precarietà delle condizioni di vita in un luogo che subisce rapidissimamente condizioni di deterioramento, favorite certo dalla fortissima densità abitativa, ma indotte dalla incuria dello I.A.C.P. prima e dalla “Romeo” dopo, che avrebbero dovuto sorvegliare sulla generale conduzione degli insediamenti. Vetrate rotte, ascensori assenti e cavedi non protetti, cabine elettriche alla portata dei bambini, presenza di ratti, aumento progressivo delle violenze sugli abitanti all’interno dei fabbricati e degli stessi alloggi sono il conseguente corollario che accompagna il degrado morale di questi luoghi.
(Da rapporto di ricerca “di Napoli dove?” – Comune Napoli – Centro La Maieutica Roma 2005: Saggio di Antonio Memoli – Degrado urbano, disagio sociale pp 96/97)

L’analisi critica sulla urbanistica (ma si può anche dire sulla cultura urbana) dal dopoguerra a oggi può essere sintetizzata nella constatazione del prevalere della grande dimensione, sia concettuale che fisica, nelle concezioni e nelle produzioni degli urbanisti. Dimensione che ha prodotto degrado, segregazione, scarsa o nulla attenzione ai contesti di intervento, scarsa o nulla attenzione alla piccola dimensione e in particolare alle esigenze degli abitanti.
(Da recensione di Paolo Colarossi al libro di Filippo Barbera – L’insostenibile sofferenza della periferia. Le periferie napoletane dagli anni ’50 ad oggi – Guida editori – Napoli 2021)

Video tratto dal canale YouTube Forte
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Sezione 2

Critica dell’impianto progettuale
Denuncia del devastante malessere abitativo


2.1
Inquadramento dell’intervento progettuale

Le Vele di Scampia sono state costruite nell’omonimo quartiere di Napoli tra il 1962 e il 1975 su progetto dell’Architetto Francesco Di Salvo (7 edifici su un’area di 115 ettari).
I nuclei familiari presenti in origine sono 1210. Dopo il terremoto del 23 novembre 1980 290 nuclei si trasferiscono in alloggi realizzati a seguito dell’evento sismico. Restano nelle Vele 926 nuclei familiari.  

Le “Sette Unità di abitazione” progettate da Francesco Di Salvo a partire da 1968, poi realizzate tra numerose manomissioni e colpevoli ritardi dalla ex Cassa per il Mezzogiorno sino al 1980, divengono da subito l’emblema di una stagione urbanoarchitettonica e urbanistica definita della “illusione delle grande dimensione”. Realizzate per dare risposta alla crescente domanda di abitazioni a basso costo per fasce economicamente svantaggiate (istanza che aveva avuto negli anni ’50 e nei primi anni ’60 pregevoli e convincenti risposte nei quartieri Ina-casa prima, e poi nei “quartieri coordinati” Cep) le Vele si costituiscono sulla cifra di una profonda mutazione dei modelli edilizi del quartiere popolare, dando luogo a contenitori abnormi e alienanti totalmente privi di pertinenze connesse alle abitazioni (negozi, sevizi per la persona etc), ma, anche, su modelli di sperimentazione progettuale non soggetta a forme adeguate di controllo, e sull’impiego di tecnologie costruttive carenti e inadeguate.
I limiti principali delle scelte politiche, economiche e progettuali, che hanno guidato la formazione dell’insediamento delle Vele di Scampia, possono essere ancora ricercati nella definizione di una gigantesca scala d’intervento (un gigantesco Piano di zona), nelle mancanza di un organico rapporto con la comunità e con il contesto fisico, nella rottura della omogeneità della struttura sociale del quartiere secondo cui l’accesso alle abitazioni viene “riservato” alle famiglie con reddito basso determinando di fatto una forma di ghetto per reddito.
Un fallimento, questo, per certi aspetti indipendente dalle opzioni tipologiche compiute nei singoli insediamenti e legati alla stessa pretesa di costruire delle “macchine per abitare”, mostratesi, nel tempo, imperfette soprattutto per la loro incapacità ad assorbire modificazioni, alterazioni, difformità inevitabili nel passaggio tra progetto e realizzazione.
(Da Documento del Comune di Napoli del 26/09/2014 redatto dall’Assessore all’Urbanistica Carmine Piscopo) (riportato integrale in Nota 2)

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Sezione 1.2

1.2
Anni ’80 ’90 forti mobilitazioni per la casa a Napoli: nella stessa area di Scampia, che esprimeva una condizione di permanente conflittualità sul problema edilizio, le “Vele” diventano un problema nel problema: “l’inferno”, “il carcere”, “il lager”

I MURALES DI FELICE PIGNATARO

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Sezione 1

Formazione, problemi, criticità
L’attività predeterminata del Comitato Abitanti Vel
e

La vicenda delle Vele di Scampia è, e continua ad essere, prima di tutto un percorso di presa di coscienza delle aberrazioni in cui è regredita una utopia progettuale e quanto una condizione urbana e abitativa discussa e controllata dal basso potesse offrire agli abitanti spazi e condizioni di vita diverse.
Il protagonista di questo percorso è il Comitato Vele di Scampia.
Il Comitato ha svolto dalla sua costituzione alla metà degli anni ’80 il ruolo di contestazione, di analisi degli errori, di individuazione degli obiettivi, di percorsi da perseguire, di coinvolgimento degli abitanti.
Senza questo ruolo del Comitato e del continuativo supporto tecnico dell’autore gli obiettivi e le modalità perseguite (e da perseguire ancora) e i confronti anche aspri per il loro conseguimento, non sarebbe esistita la questione delle Vele di Scampia, rimanendo ignorata trascurata o misconosciuta dalle istituzioni e dai “media”, relegata probabilmente a teoriche ricerche universitarie o a eruditi contributi intellettuali.
Il Comitato costituitosi alla metà degli anni ’80 era costituito da Achille Aisler, Gennaro De Rosa, Vincenzo Granato, Vittorio Passeggio, Ciro Tucci. Vittorio Passeggio ne è stato animatore con una attività ininterrotta e totale coinvolgimento personale fino al dicembre del 2016, attività poi interrotta a causa di subentrate ricadute negative sulla salute.
Dal 2004 il Comitato ha visto l’impegno di nuovi protagonisti Omero Benfenati, Lorenzo Liparulo, Patrizia Mincione.
L’Arch. Antonio Memoli, autore di queste memorie, già impegnato in altre esperienze di lotta per la casa a Napoli, incontra per la prima volta il Comitato in occasione della presentazione della “questione Vele” in un convegno tenutosi alla Sala Santa Chiara di Piazza del Gesù a Napoli il 1 marzo 1988 1. Da quella data è stato continuativo il suo contributo al Comitato per inquadrare le critiche all’insediamento, individuare proposte legislative e normative, partecipare a confronti pubblici, coinvolgere le istituzioni su modalità di un diverso “reimpianto urbano”.

1.1
36 anni per denunciare e superare un devastante malessere abitativo
Milleduecento famiglie come cavie della sperimentazione edilizia ed urbanistica; la presa di coscienza; il ruolo continuativo e basilare del Comitato per l’obiettivo: la cancellazione dell’inferno delle “Vele” nel quartiere Scampia.

La singolarità delle attività e delle esperienze portate avanti da entrambi i Comitati e dall’autore Antonio Memoli, citati al precedente punto 1, sta nel fatto che l’eliminazione dei preesistenti invivibili insediamenti si è resa (si sta rendendo) possibile in quanto azione originata da dentro, rifiuto dei cittadini costretti ad un abitare allucinante, graduale presa di coscienza della marginalità sociale prima ancora che periferica indotta anche errori pianificatori, presa di distanza dai fenomeni di devianza sociale indotti anche dalle condizioni di isolamento e ghettizzazione.
Le istituzioni sono venute dopo, costrette dalle pressioni rivendicative di chi viveva da dentro quell’insopportabile disagio, rivendicazioni spesso indotte da comportamenti dilatori e repulsivi di chi avrebbe avuto l’obbligo di intervenire.
(In Contributo del Comitato Vele Scampia in vista delle elezioni a Sindaco per Napoli Metropolitana “Vele: un percorso ultratrentennale di rigenerazione urbana dal basso” 30/08/2021) (riportato integrale in Nota 1)

Il 14 gennaio 1991 il Comitato indice un Convegno alla Scuola Media Virgilio IV di Scampia. L’iniziativa coinvolge segretari di partito, parlamentari, consiglieri comunali.
La quantità dei nuclei familiari coinvolti, il risalto mediatico dato agli abbattimenti, l’emblematicità assunta dal quartiere Scampia nell’identificazione del malessere napoletano (dalle sequenze del film di Piscicelli “Le occasione di Rosa” alle sequenze delle serie televisiva “Gomorra”), l’articolazione delle denunce, della lotta e delle finalità perseguite in questa esperienza, mettono in evidenza un elenco impressionante di inaccettabili scelte programmatorie, di equivoche sperimentazioni progettuali, di colpevoli carenze esecutive, di una monofunzionalità insediativa che hanno contribuito a portare a conseguenze estreme l’isolamento e le devianze di questo quartiere.
L’avvio del percorso di riscatto dal devastante malessere abitativo nelle Vele di Scampia è lontanissimo. Un gruppo di abitanti delle Vele, alla metà degli anni ’80, prende gradualmente coscienza “dal di dentro” degli errori alla base del degrado abitativo e avvia una esperienza di lotta per riscatto sociale ancora in atto dopo trentotto anni. Nasce allora il Comitato Vele di Scampia che coinvolge da subito le istituzioni nell’affrontare concretamente il problema del devastante vissuto abitativo.
(Da rapporto di ricerca “di Napoli dove?” – Comune Napoli – Centro La Maieutica Roma 2005: Saggio di Antonio Memoli – Degrado urbano, disagio sociale p. 95)

  1. L’Arch. Antonio Memoli, già protagonista dalla metà degli anni ’70 di analoghe esperienze di critica alle condizioni insediative e abitative, partecipa all’attività del Comitato inquilini del preesistente Rione Sant’Alfonso degradato e ghettizzato, ubicato in Napoli Via Cannola al Trivio (Quartiere Poggioreale). Anche in questo caso si persegue la realizzazione di diverse condizioni insediative e abitative derivate da un lungo confronto con l’Istituzione Comunale, sostanziate da discussioni, proposte, progettazione e edificazione del Nuovo Rione (Progetto degli architetti Mario Memoli, Gabriella Benevento, Antonio Memoli) e nel trasferimento nell’ottobre 1997 dei 440 nuclei familiari dal degradato Rione ai limitrofi 10 edifici, inaugurati dal Sindaco Antonio Bassolino.
    Il fatiscente Rione verrà demolito nel settembre 1999. ↩︎
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Prefazione

di Luigi de Magistris, Sindaco di Napoli dal 2011 al 2021

Le Vele attraversano la storia di Napoli degli ultimi quarant’anni, dal dopo terremoto ad oggi.

In questo sito, l’architetto Antonio Memoli fa un lavoro serio e prezioso, perché ricostruisce, con foto, documenti ed analisi la storia delle Vele, dalla loro costruzione ad oggi.

Da Sindaco più longevo della storia di Napoli, dal 2011 al 2021, ho potuto conoscere ed affrontare uno dei temi più spinosi della questione urbanistica, sociale, territoriale ed umana della nostra città. Ripercorro, per sintesi, alcuni passaggi salienti del mio e del nostro rapporto con le Vele e la sua comunità. Ovviamente già prima della mia scelta di candidarmi a Sindaco di Napoli conoscevo la storia delle Vele ed anche la narrazione come un pezzo di città dominato dal crimine organizzato e quasi senza speranza. Dopo pochi giorni dalla ufficializzazione della mia candidatura un giovane volontario attivista, mio collaboratore, Alessandro Di Rienzo, mi dice che vuole presentarmi Vittorio Passeggio, l’uomo con il megafono, leader storico del collettivo di abitanti delle Vele, il “Comitato Vele”. Rimango affascinato da quest’uomo, volto vero di Scampia, dalla profonda umanità, sensibilità politica, di grande passione e con carattere e personalità complessi. Per Vittorio la lotta dell’umanità nelle Vele valeva una vita. Per lui le Vele e il futuro del quartiere, in lotta con gli oppressi contro gli oppressori, era la cifra più autentica del suo impegno politico. Una delle prime passeggiate in cammino tra il popolo e con il popolo la feci con Vittorio e con tanti abitanti dalla sede del Gridas di Felice Pignataro e Mirella La Magna, passando per Monterosa fino a Scampia, alle Vele. Per tutto il cammino Vittorio parlava e urlava nel microfono invocando la partecipazione dei cittadini alla rivoluzione che volevamo mettere in campo. Mi presentava alla sua gente, ai suoi rioni. Avevamo ben spiegato a Vittorio qual’era la mia idea per costruire un programma condiviso e per governare Napoli in maniera autonoma, fuori dal sistema. Vittorio capì il mio essere stato magistrato fedele alla costituzione con un profondo senso di giustizia, fatto fuori da poteri criminali che agiscono dentro lo Stato ai massimi livelli. E Vittorio, con la sua profonda sete di giustizia, aveva capito che potevo essere l’uomo giusto al momento giusto. La nostra è stata da subito una intesa umana, una simpatia affettiva, ci volevamo bene, nelle nostre reciproche autonomie. Quella passeggiata con Vittorio è stata uno dei momenti più significativi della campagna elettorale. Mi ha aperto le porte a Scampia facendo scricchiolare la diffidenza verso la politica, le istituzioni e la stessa candidatura di un magistrato che qualcuno voleva dipingere solo con manette ed arresti.

Entrai la prima volta nelle Vele e conobbi il Comitato, le donne e gli uomini, i bambini, i ragazzi. Volti che non ho mai dimenticato e che ho incrociato ed incontrato per anni durante la mia sindacatura. Ho molto ascoltato, con pazienza, attenzione, rispetto, con la mia solita autonomia e libertà. Il programma su Scampia si è costruito anche lì, nella sede del Comitato, dentro le Vele. Il desiderio del popolo di Scampia era ottenere ascolto e dignità. Mai lamenti, ma grande fierezza ed umanità. Non sono mai stati ossequiosi nei miei confronti, ma rispettosi sempre. Non li ho mai giudicati, nè guardati dall’alto verso il basso. Il Comitato voleva l’abbattimento delle Vele per ottenere abitazioni rispettose degli esseri umani e poi la contestuale riqualificazione del quartiere. Una grande scritta si legge entrando: “che cosa vuole Scampia? Tutto”. Perché la politica gli aveva tolto tutto, anche la speranza dopo averli illusi nelle promesse tante e nelle numerose campagne elettorali. L’amministrazione di centro-sinistra guidata dalla Jervolino li aveva lasciati sommersi da montagne di rifiuti.

Nelle abitazioni delle Vele manca tutto, ma non la dignità. Manca spesso l’acqua, le fogne un miraggio, vi è umidità profonda, degrado, topi, case fatiscenti su cui la manutenzione è stata quasi inesistente. La criminalità presente e pressante, ma mai dominante in assoluto. Gomorra e la narrazione tossica di rimbalzo sono stati un business per qualcuno e un danno enorme per Scampia. Passava un racconto unilaterale, Scampia solo criminalità, violenza, camorra. Mai il racconto del bene che voleva squarciare le tenebre, ma solo il male. A Napoli l’inferno esiste, ma esiste anche il purgatorio ed il paradiso, ovunque, e bisogna raccontare il bene e il male in modo da aiutare le persone a scegliere da che parte stare. E bisogna stare nei luoghi in cui non si ha la possibilità di scegliere da soli ed il confine tra disagio, disadattamento, devianza e crimine è un battito d’ali di farfalla. Mi sono caricato, insieme alla mia squadra, Scampia e le Vele come una priorità. Qualche dato per ricordare e scongiurare il vizio della memoria corta: da Scampia abbiamo cominciato la raccolta differenziata con risultati egregi, da lì prima di Posillipo, per dare un segnale di fiducia. Scampia durante la mia sindacatura è stato il quartiere di Napoli con il massimo numero di associazioni. L’uscita della metro Linea 1, la realizzazione dell’Università di scienze infermieristiche, impianti sportivi nuovi, interventi nelle scuole, aree sottratte al degrado grazie alla partecipazione dei cittadini, ma soprattutto, quello che in questo emozionante sito viene raccontato, il progetto di abbattimento delle Vele e di riqualificazione del territorio. È stato quest’ultimo un originale, complesso, difficile ed appassionante progetto di democrazia partecipativa e di decisione condivisa con il territorio. Nessun lavoro calato dall’alto, ha deciso il territorio insieme all’amministrazione comunale. Un grandissimo lavoro di squadra della giunta e dei dipendenti comunali ad ogni livello, dai vertici agli impiegati. Un lavoro di forte competenza, professionalità, abnegazione e coraggio di tanti assessori, ne voglio citare uno per ringraziarli tutti: Carmine Piscopo che è stato l’anima e il cuore del progetto Vele. Solo io ho incontrato decine di volte il Comitato e gli abitanti di Scampia, sia nella loro sede, nelle case, per strada, al comune. Decine e decine gli incontri dei componenti della giunta e dei dirigenti incaricati di seguire tutti gli aspetti: urbanistica, beni comuni, patrimonio, sociale, legalità, cultura, infrastrutture, insomma servivano tutti i servizi.

In un processo così rivoluzionario gli ostacoli, piccoli e grandi, sono stati tanti. Ed anche i momenti difficili nel confronto tra territorio ed amministrazione non sono mancati. Il conflitto sociale e l’accesa dialettica democratica non sono problemi ma sintomi della ricerca della soluzione se c’è volontà e spirito costruttivo a cominciare da chi governa. La nostra amministrazione non aveva risorse economiche ed è stata dolosamente ostacolata da governi nazionali e regionali e, quindi, non era per nulla facile progettare un cambiamento epocale senza avere soldi pubblici in partenza. Ma la volontà del popolo e dell’amministrazione era fortissima. Togliendo la “monnezza” da strada e portando cultura, ascolto e lotta al degrado e alla camorra, si è data grande fiducia alle persone. Hanno cominciato a vederci come la speranza smarrita che diveniva realtà. Il progetto di abbattimento delle Vele e di rigenerazione urbana del quartiere è descritto con puntualità e correttezza nel sito. Si è deciso di abbattere tutte le Vele, tranne una per riqualificarla e farla diventare la sede della città metropolitana in modo tale da trasformare Scampia da periferia in centro dell’area urbana metropolitana. Siamo riusciti ad ottenere, aggiudicandoci un bando pubblico nazionale, le risorse per il progetto sulle Vele ed abbiamo messo negli anni denari a bilancio per la realizzazione di alloggi popolari. Una battaglia affinché nessuno rimanesse senza tetto. Alloggi popolari funzionali, confortevoli, dignitosi, efficienti. Il progetto di abbattimento e riqualificazione con servizi, asili nido, strutture commerciali, impianti sportivi, infrastrutture, verde, ha visto l’impegno encomiabile di tre realtà: il comune di Napoli in tutte le sue articolazioni politiche, amministrative e tecniche; l’Università di Napoli Federico II dipartimento di architettura e il Comitato Vele.

Del Comitato Vele non posso non citare, oltre Vittorio, che poi con il tempo è ricaduto in una brutta depressione, Lorenzo Omero, Patrizia e anche Antonio Memoli, che in quegli incontri infuocati, tra camicie, magliette, facce affaticate, scugnizzi, sandali e bermuda, donne incazzate e uomini esausti, spiccava spesso con il suo tono pacato ma fermo in giacca e cravatta, in quella contaminazione tra disoccupati, sottoproletariato, operai, impiegati, ed una bella borghesia al servizio della lotta di classe. Tanta vita a Scampia, sofferenza e umanità, mortificazioni e dignità.

Ho contribuito con forza a dare voce con il mio megafono istituzionale a chi voce non aveva mai avuto e che veniva solo incontrato, ingannato e strumentalizzato in campagna elettorale.

Finalmente un giorno, dopo anni di lavoro, viene pubblicato dal governo un bando nazionale per le periferie d’Italia (“Piano casa”) e così partecipiamo con il nostro progetto coinvolgente tre firme: la mia, quale Sindaco di Napoli, il direttore del dipartimento di architettura dell’Università e il Comitato Vele. Che emozione quando ci aggiudichiamo il bando, il relativo finanziamento di 18 milioni e risultiamo tra i primi in Italia. Con i soldi, il nostro sogno poteva adesso diventare realtà. Ed infatti sa quel momento comincia tutto l’iter burocratico, amministrativo e tecnico: una corsa ad ostacoli.

Ma arriviamo al giorno più bello, quello dell’abbattimento della Vela A (verde), il 20 febbraio 2020. Ho visto le lacrime di commozione, emozione, gioia, speranza, insomma occhi lucidi di vita e di umanità di persone che ormai attraversavano la mia vita, ne facevano parte. Ho pianto anche io quel giorno. Le parole non rendono che vuol dire portare l’umanità al potere e dare potere al popolo di poter decidere. Abbiamo vinto contro tutti: abbiamo sconfitto il pregiudizio su Scampia, la narrazione tossica di Gomorra e dintorni, la mentalità camorristica, le pressioni criminali sul territorio, l’emergenza rifiuti, abbiamo portato cultura, relazioni, il potere come servizio che va in strada e che costruisce in strada l’alternativa popolare. Ecco anche la potenza del “sindaco di strada”. Per me Scampia è stata maestro di vita e voglio esprimere la mia gratitudine alle donne e agli uomini, alle ragazze e ai ragazzi, alle bambine e I bambini, perché mi hanno sempre dato la forza di non mollare mai e di trovare sempre la soluzione ai problemi che, ovviamente, continuano ad essere tanti.

Per concludere, questa breve sintesi di una storia profonda ed intensa, intendo raccontare un episodio che testimonia bene l’unità che si è avuta in città tra il popolo e la nostra esperienza politica. La Presidente della Camera Laura Boldrini invita a Montecitorio le città che si sono aggiudicate i finanziamenti nel bando per le periferie. Andiamo in delegazione a Roma io, l’assessore Piscopo, il professore dell’Università, Lorenzo ed Omero in rappresentanza del Comitato Vele. Arriviamo all’ingresso a Montecitorio ed il funzionario della Camera dei Deputati invita a salire me, l’assessore e il professore, stoppando Lorenzo ed Omero che a suo dire non dovevano far parte della delegazione. Non sono abituati evidentemente alla democrazia partecipativa, alla rivoluzione popolare e con il diritto, li vedevano come brutti, sporchi e cattivi, per giunta di Napoli e finanche di Scampia. Spiego con cortesia e fermezza al funzionario che il progetto per cui siamo stati convocati a Roma e che è risultato tra i migliori in Italia ci vede tutti uniti e non possiamo separarci in queste occasioni. Quindi gli spiego che dobbiamo salire insieme altrimenti così come siamo arrivati in treno da Napoli a Roma così avremmo girato i tacchi e tornati a casa e gli chiedo quindi di avvisare la Presidente di queste nostre volontà. La Boldrini scende, le spiego il progetto e le ragioni della presenza di tutta la squadra e ci autorizza, con cortesia, a salire tutti.

Scampia è stata la prova più evidente, nella periferia delle periferie, ma nella centralità dell’umanità, di quella che è stata la mia e la nostra rivoluzione: la connessione sentimentale tra il popolo e i governanti, un lavoro di squadra contro il sistema fatto con onestà, libertà, autonomia, indipendenza, competenza, coraggio, armonia, sacrificio, pazienza, abnegazione, amore, passione e follia. Siamo stati folli, nel senso che non abbiamo fatto calcoli di opportunismo ed opportunità. Porterò le Vele, i suoi abitanti, il Comitato, sempre nel mio cuore e nei miei ricordi. Penso che insieme ci ritroveremo per lotte che non sono ancora finite perché, tra l’altro, una nuova stagione di mani sulla città si intravede e rischia di incombere sulla nostra città.

Luigi de Magistris, gennaio 2024