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Postfazione

L’architettura come diritto all’abitare, di Giuseppe Limone, filosofo

Antonio Memoli – Un sito su quarant’anni di battaglie sociali, lungo quanto il grido del GRIDAS

1. Dall’architettare all’abitare

Questo sito è un complesso ragionato di documenti, di stampe, di fotografie, di prese di posizione, di dichiarazioni di intenti, di iniziative, di eventi ufficiali, di resoconti, di indicazioni di scadenze e di lotte.

Esiste, come è noto, un’attività scientifica che, studiando le reazioni chimiche, consiste nel farne la cosiddetta “analisi dei residui”. Si tratta di investigare una reazione chimica a partire dai residui che essa lascia all’esito della reazione stessa. Crediamo che analoga esplorazione debba poter farsi nello studio di una città. È possibile, infatti, esplorare la vita di una città muovendo dai residui culturali, civili e sociali che essa ha rilasciato e disseminato sul territorio, proiettando – così – la sua fisionomia nei suoi esiti, voluti o non voluti che siano.

L’esame di una città come quella di Napoli – ancora più di altre – non può sottrarsi a una tale regola metodologica, che intende guardare a una comunità civile nella sua interezza e non soltanto ai suoi centri più nobili e vistosi. Si tratta, in realtà, innanzitutto di una scelta culturale e civile, consistente nel voler guardare a tutti i componenti della comunità come degni di essere avvistati e compresi, e soprattutto presi sul serio.

Napoli ha avuto una storia antichissima e recente, con tutto ciò che questo ha significato in termini di proiezioni e di sedimenti. Napoli è stata più cose: i decumani, la città sotterranea, le catacombe, le chiese, il barocco, il mare, l’impegno di tanti per preservarne la bellezza, l’adattamento di molti, la disobbedienza muta di alquanti e il sacco urbanistico alla città, quello su cui ha efficacemente parlato Francesco Rosi nel suo film Le mani sulla città (1963). Riferimenti importanti in questa storia sono state, fra le altre, le vicende che hanno riguardato San Giovanni a Teduccio, i quartieri spagnoli, il rione Traiano, il Vomero, Bagnoli, Soccavo, Pianura e tanti altri luoghi in cui si sono scaricate e declinate le tensioni della città.

In questo orizzonte, sono state degne di attenzione, negli ultimi cinquant’anni, le vicende che hanno riguardato i quartieri di Poggioreale e di Scampia, rispettivamente appartenenti alla municipalità numero quattro e alla municipalità numero otto. Non sono, certamente, le sole; ma – qualora le si omettessero – si perderebbe larga parte del complessivo significato di un’evoluzione, non semplicemente diacronica, ma storica.

Antonio Memoli, architetto e urbanista, ha operato con competenza e passione proprio in questi due mondi sociali, incontrandosi, da un lato, col rione Sant’Alfonso (appartenente a Poggioreale) e, dall’altro lato, col quartiere di Scampia, collocato ai confini settentrionali.

Il rione Sant’Alfonso – nel quale era stata trasferita, negli anni Cinquanta, la popolazione dalle baracche della via Marina – fu negli anni Novanta interamente abbattuto e ricostruito per rivendicazione degli inquilini, quattrocentoquaranta famiglie, rappresentate dal Comitato degli stessi inquilini e tecnicamente sostenute dalle progettazioni degli architetti Antonio Memoli, Mario Memoli e Gabriella Benevento. Le sette Vele di Scampia, costruite a partire dagli anni Ottanta, sono state, per le condizioni abitative degradanti, oggetto di contestazione da parte dei Comitati degli abitanti, anch’essi tecnicamente sostenuti da Antonio Memoli, ragion per cui, a tutt’oggi, quattro sono state già abbattute e due restano da abbattere (resterà in piedi, per fini istituzionali o per altre ragioni, solo quella di colore celeste). In questo senso, ciò che è accaduto al rione Sant’Alfonso e ciò che è accaduto alle Vele di Scampia sono stati, per così dire, ologrammi della vita di un’intera città: il piccolo nel grande, il grande nel piccolo. E Antonio Memoli è stato – per queste vicende e non soltanto – un pezzo importante nella storia di questa città. Sul suo tavolo di lavoro, per decenni, notte dopo notte, con incredibile metodicità, si sono stratificate le esperienze e le decisioni di ogni giornata. Gli eventi di Sant’Alfonso e delle Vele sono stati molto importanti, soprattutto per il significato civile e sociale – direi esemplare – che hanno rappresentato. Bisogna pur dire, però, che troppo spesso la stampa nazionale non ha avuto adeguata coscienza di questa storia, spesso fermandosi soltanto sugli aspetti più negativi e degradanti, ignorando i forti processi rivendicativi nati al loro interno. Infatti, la pubblicistica si è concentrata soltanto sui fenomeni di emarginazione, delinquenza, degrado, totalmente ignorando le pur forti resistenze attive che erano in atto, perfino con risultati di prima grandezza.

Ma qual è stato il significato profondo di questi due processi? Noi diremmo, guardandoli da dopo, e non soltanto da dopo, che essi hanno significato lo svolgimento di quattro partite, intellettuali e civili, tutte riguardanti il rapporto fra un’arte, come l’architettura, e la vita concreta, come quella di una civile comunità, capace di porre al centro della sua attenzione il diritto di abitare.

2. L’anatomia di un impegno collettivo: quattro partite civili

A) Vediamo la prima partita. L’architettura è certamente una scienza, un’arte e un’attività professionale. Ma essa ha una specifica qualità, che la distingue nettamente dalla poesia, dalla pittura, dalla scultura, dalla musica, da qualsiasi forma di letteratura. Mentre queste ultime, infatti, possono essere affidate al puro genio inventivo del loro autore, l’architettura, invece, deve necessariamente fare i conti con la vita concreta delle persone che gli edifici saranno chiamati a ospitare. Non si può ideare un edificio sulla base della pura invenzione del genio creatore, perché è l’edificio a dover adattarsi alla vita civile delle persone e non viceversa. Opinare e praticare diversamente significa scegliere il mestiere di Procuste, il quale, come si sa, trattava i suoi clienti allungandone o amputandone le gambe a seconda delle necessità dell’artefatto da lui creato. Purtroppo, molto spesso il luminoso estro delle cosiddette “archi-star” è stato assimilabile a Procuste. La cosiddetta archi-star, ossia l’architetto-stella, è un Procuste di lusso e di ottima reputazione, anche se di lui non lo si direbbe nemmeno sotto tortura. In questo senso, ad esempio, aver progettato le passerelle interne alle Vele (realizzate per accesso agli alloggi ubicati fino a quaranta metri) come se fossero assimilabili ai vicoli napoletani è stato poco più che una ingenua bizzarria.
Per capire che le Vele di Scampia non erano assolutamente adatte a ospitare le milleduecento famiglie in loro catapultate (milleduecento in origine, novecentoventi a seguito di trasferimenti del dopoterremoto) è stata necessaria un’attività intellettualmente rischiosa. Ma ci voleva coraggio per esercitarla, forse addirittura temerarietà. Infatti, chi osò denunciare il magnifico malfatto rischiò – concretamente rischiò – di essere considerato incompetente, irresponsabile e pazzo. Quando le cose sono state già portate a compimento, tutto il decorso dei fatti sembra essere stato “naturale”, ma si tratta di una illusione morgana, forse anche un po’ vile e sciocca, che semplicemente nasce dal senno e dalla prospettiva del dopo. Ci son voluti circa trent’anni per capirlo veramente, anzi operativamente. Le Vele, pur formalmente accattivanti, dovevano essere, invece, abbattute. Ciò, attraverso la dolorosa scelta di un’operazione inevitabile che ne raddoppiava, in realtà, gli stessi costi di progettazione e costruzione. Una follia? Piuttosto, una sapiente e coraggiosa follia.
Tre qualità hanno accompagnato, pertanto, la prima partita: 1) la capacità di dire all’architettura che cosa deve essere l’architettura; 2) il coraggio di dire all’architettura che cosa non deve essere l’architettura; 3) il diritto civile degli abitanti di segnalare l’insostenibilità del loro disagio, in nome della priorità del civile abitare sul libero architettare.
Tutto ciò significava avere per metro di giudizio i residui civili e sociali lasciati sul campo da un misconoscimento di questa funzione sociale.

B) Vediamo la seconda partita. Si tratta di capire in che modo e misura un movimento sociale può essere in grado di indicare guasti e di proporre rimedi, anche radicali. Ciò comportava la necessità di altre tre qualità: 1) la capacità delle persone di aggregarsi e discutere intorno a un fine comune; 2) la capacità delle stesse persone di darsi forme organizzate in grado di reggere al cimento della durata; 3) l’attitudine di queste stesse persone a darsi obiettivi concreti, credibili e cadenzati. Tutto ciò, in nome di un più radicale significato del “pubblico”, che NON è il “pubblico formalizzato”, ma quello volontario e comunitario, che opera per il bene comune ancor prima che lo faccia un “Ente pubblico”. In altri termini: il momento originario del “pubblico” non è il “pubblico formalizzato”, ma ogni forma di cittadinanza attiva, individuale o collettiva che sia. In questo senso, la tradizionale dicotomia “privato/pubblico” è gravemente insufficiente, perché ignora la sostanziale natura pubblica – pubblica in sé – della cittadinanza attiva e del comunitario, attività nelle quali vive il vero senso di ciò che chiamiamo il “civile”.      

C) Vediamo la terza partita. Si tratta della capacità di un movimento sociale di munirsi di elaborate proposte, idonee a misurarsi non solo in termini di discussione, ma anche di progettazione. Tutto ciò significava altre tre qualità: 1) avere una cultura non solo della protesta, ma della proposta; 2) mettere in moto un connubio militante che tenesse insieme attori sociali e tecnici capaci di sposarne le finalità; 3) avere la capacità di entrare in dialogo con le varie Istituzioni – a tutti i livelli – concernenti le cruciali questioni in gioco.

D) Vediamo la quarta partita. Si tratta dell’importanza di porsi, contemporaneamente, il problema riguardante l’intero assetto urbanistico del quartiere e della sua funzione nella città. Tutto ciò comportava ancora tre qualità: 1) la consapevolezza che un qualsiasi edificio vale per il contesto urbano in cui vive (non sono la stessa cosa un edificio urbanisticamente ben collocato e un edificio spogliato di ogni attrezzatura sociale o collocato immediatamente a ridosso di superstrade a veloce scorrimento, e perciò privo di ogni contesto urbano); 2) un’acuta sensibilità, culturale e civile, capace di alimentare una identità di quartiere; 3) la promozione di forme associative, educative, sportive e culturali, se non addirittura editoriali e bibliotecarie.

3. Dalla coscienza civile del GRIDAS all’Angelo delle città

In questa complessiva vicenda si sono messi in luce movimenti, persone, attività sociali e culturali, energie di ogni genere e qualità. È stato proprio all’interno di questi percorsi che sono emersi, nel rione Sant’Alfonso, persone come Pierpaolo Polizzi, Piero Russo e Luigi Zaccaria; e, nel quartiere di Scampia, persone come Felice Pignataro, Mirella Lamagna, Vittorio Passeggio, animatori del geniale movimento del GRIDAS (acronimo di Gruppo di Risveglio dal Sonno), intellettuali e uomini del popolo, artigiani, insegnanti, operai, disoccupati: si pensi, a tutt’oggi, a persone come Rosario Andreozzi, Omero Benfenati, Lorenzo Liparulo, Patrizia Mincione, e tanti volti di tanti generosi, impegnati nella causa comune. Tutto ciò ha significato misurarsi, contemporaneamente, con la fantasia, con la progettualità, con la durata dell’impegno e con la tempistica delle scadenze. Di tutto questo, salvo lodevoli eccezioni, non c’è stata sufficiente eco nella stampa nazionale.

Una storia e una città lasciano “residui”, ma sono proprio questi residui – spesso sfuggenti – i germi rivelativi per la misurazione di una vicenda e per la creazione di un’alternativa civile e sociale. Oggi nel quartiere di Scampia è stata insediata una parte dell’Università Federico II, quella destinata alle Scienze infermieristiche. Scampia, nonostante la cattiva affabulazione mediatica che l’ha assimilata quasi al Bronx americano, è oggi una terra fervida di iniziative e di attività, culturali e civili. Si tratta di un’azione di riqualificazione che si è sviluppata fin da quando in essa si costituì, nel 1981, un vivace movimento di coraggiosi che, affrontando ogni tipo di difficoltà e cimentandosi in un ventaglio di attività creative (fra cui il Carnevale, i “murales” e tante progettazioni popolari), diede vita al GRIDAS, guidato e animato, come già si diceva, da Felice Pignataro e da Mirella Lamagna.

Questo sito è la preistoria cadenzata di un impegno che si è fatto storia. Sono occorsi ben trentacinque anni perché questo processo venisse finalmente alla luce. Come se un carcerato, lungamente dimenticato, uscisse dalle segrete di Montecristo per far vedere a tutti che non solo è vivo ancora, ma che è degno di fiducia e ricco di avvenire.

La vera ricchezza di una nazione dovrebbe essere misurata non tanto sul prodotto interno lordo, quanto sulla sua capacità di non sprecare i talenti e le sensibilità delle persone di cui è costituita. Ѐ qui il senso concreto dell’avvenire. Ce ne dovremmo ricordare più spesso in Europa, quando si parla dell’Italia e della sua storica e costituzionale vocazione fondatrice e rifondatrice.

Walter Benjamin, ispirandosi all’Angelo di Paul Klee, immaginò un angelo che, raccogliendo le macerie del passato, cerca di ricostruirle nel presente, per quanto fra tempeste e disagi. La storia di Scampia è stata una inedita storia dell’angelo. Quest’angelo è stato l’incarnarsi di una rabbia di riscatto sociale che si è concentrata nell’appassionata forza dei Comitati che senza mai stancarsi hanno lavorato e immaginato. Non può esistere una libertà di architettare senza una dignità dell’abitare, né può esistere una qualità culturale di assetto urbano senza la qualità civile di membri combattivi e consapevoli in una operante comunità. Ѐ stato questo – in quarant’anni di lotte – l’angelo di Scampia: è stato, in nome di Felice Pignataro e di tanti coraggiosi, il lungo grido bianco del GRIDAS, arrivato fino a noi, interrogandoci su noi.

Giuseppe Limone, gennaio 2024