Critica dell’impianto progettuale
Denuncia del devastante malessere abitativo
2.1
Inquadramento dell’intervento progettuale
Le Vele di Scampia sono state costruite nell’omonimo quartiere di Napoli tra il 1962 e il 1975 su progetto dell’Architetto Francesco Di Salvo (7 edifici su un’area di 115 ettari).
I nuclei familiari presenti in origine sono 1210. Dopo il terremoto del 23 novembre 1980 290 nuclei si trasferiscono in alloggi realizzati a seguito dell’evento sismico. Restano nelle Vele 926 nuclei familiari.
Le “Sette Unità di abitazione” progettate da Francesco Di Salvo a partire da 1968, poi realizzate tra numerose manomissioni e colpevoli ritardi dalla ex Cassa per il Mezzogiorno sino al 1980, divengono da subito l’emblema di una stagione urbanoarchitettonica e urbanistica definita della “illusione delle grande dimensione”. Realizzate per dare risposta alla crescente domanda di abitazioni a basso costo per fasce economicamente svantaggiate (istanza che aveva avuto negli anni ’50 e nei primi anni ’60 pregevoli e convincenti risposte nei quartieri Ina-casa prima, e poi nei “quartieri coordinati” Cep) le Vele si costituiscono sulla cifra di una profonda mutazione dei modelli edilizi del quartiere popolare, dando luogo a contenitori abnormi e alienanti totalmente privi di pertinenze connesse alle abitazioni (negozi, sevizi per la persona etc), ma, anche, su modelli di sperimentazione progettuale non soggetta a forme adeguate di controllo, e sull’impiego di tecnologie costruttive carenti e inadeguate.
I limiti principali delle scelte politiche, economiche e progettuali, che hanno guidato la formazione dell’insediamento delle Vele di Scampia, possono essere ancora ricercati nella definizione di una gigantesca scala d’intervento (un gigantesco Piano di zona), nelle mancanza di un organico rapporto con la comunità e con il contesto fisico, nella rottura della omogeneità della struttura sociale del quartiere secondo cui l’accesso alle abitazioni viene “riservato” alle famiglie con reddito basso determinando di fatto una forma di ghetto per reddito.
Un fallimento, questo, per certi aspetti indipendente dalle opzioni tipologiche compiute nei singoli insediamenti e legati alla stessa pretesa di costruire delle “macchine per abitare”, mostratesi, nel tempo, imperfette soprattutto per la loro incapacità ad assorbire modificazioni, alterazioni, difformità inevitabili nel passaggio tra progetto e realizzazione.
(Da Documento del Comune di Napoli del 26/09/2014 redatto dall’Assessore all’Urbanistica Carmine Piscopo) (riportato integrale in Nota 2)