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Problemi e criticità – Una desolata estraneità del luogo alla normalità del vivere e del muoversi – riferimenti al “basso” napoletano
Cinque indicatori critici legati al contesto urbanistico e edilizio
Se è vero che i mali endemici di Napoli, come la criminalità organizzata o la mancanza di lavoro generano malesseri e violenze sociali ovunque, nel caso della Vele è indiscutibile e comprovato come l’ambiente urbano e edilizio influenzi in negativo i comportamenti. Qui, nel luogo delle “Vele”, si sono sommati errori, mancanze, ritardi e inadempienze che non potevano che provocare l’infernale condizione di vita che perdura ancora oggi. E’ così che gli strati più deboli della popolazione, incapaci spesso di filtrare criticamente modelli comportamentali indotti dai “media”, si sono ritrovati in un luogo di vita traumatizzante e non rassicurante.
Cinque indicatori legati al contesto urbanistico ed edilizio ci sembrano significativi dell’ineludibile rapporto tra degrado urbano e disagio sociale:
1) L’ambiente del mega quartiere popolare prodotto da una discutibile cultura urbanistica. Esso ha indotto una forma di “idiotismo urbano”, appiattendo la complessità della evoluzione della città in quartieri monouso, dormitori per emarginati, inadatti ad assumere un ruolo funzionale nella crescita della città, con ritardi incolmabili nella realizzazione di tutte le attrezzature di relazione sociale, con i comparti abitativi concepiti come cellule urbane avulse dal contesto e collocate in un sistema stradale isolante e finalizzato solo alle percorrenze veloci.
2) La progressiva mutazione dei modelli edilizi del quartiere popolare da edifici di modeste volumetrie a contenitori abnormi e alienanti, derivanti probabilmente anche da equivoche limitazioni dei costi, che ha prodotto insediamenti a forte problematicità sociale come, oltre alle “Vele”, lo ZEN a Palermo o il Corviale a Roma.
3) La sperimentazione progettuale non soggetta a forme adeguate di controlli. Il progetto originario delle Vele vincitore in un concorso di edilizia residenziale pubblica degli anni sessanta, licenziato “con plauso” dalla commissione edilizia del Comune di Napoli e la successiva variante esecutiva operata dalla Cassa del Mezzogiorno si fondano su elementi che divengono rapidamente concausa del degrado, ad esempio l’affollamento fino a 240 famiglie per complessi edilizi; la congestione conseguente dei percorsi orizzontali e verticali, oltretutto pericolosissima in condizioni di emergenza, la tipologia edilizia a corpi affiancati alti più di 40 metri ma distanti solo 8 metri, con l’oscuramento totale e continuo di un lato dell’alloggio; le passerelle e le scale di accesso agli alloggi sospese nel vuoto, non protette dagli effetti degli agenti atmosferici, che, del vicolo napoletano, conservano solo l’incivile introspezione visiva che è possibile nei “bassi”.
4) Le tecnologie costruttive nei particolari tecnici realizzati con evidenti carenze. Molte condizioni di precarietà nell’abitabilità degli alloggi sono state conseguenti ad approssimazioni progettuali o di controllo come la grave carenza di coibentazione sui pannelli di tompagno, la persistente umidità di condensa e il permanere costante di muffe sulle pareti interne o come la rapida ossidazione delle lamiere sagomate che costituiscono le scale d’accesso ai singoli alloggi.
5) La gestione, la manutenzione e la vigilanza assolutamente assenti. La definitiva precarietà delle condizioni di vita in un luogo che subisce rapidissimamente condizioni di deterioramento, favorite certo dalla fortissima densità abitativa, ma indotte dalla incuria dello I.A.C.P. prima e dalla “Romeo” dopo, che avrebbero dovuto sorvegliare sulla generale conduzione degli insediamenti. Vetrate rotte, ascensori assenti e cavedi non protetti, cabine elettriche alla portata dei bambini, presenza di ratti, aumento progressivo delle violenze sugli abitanti all’interno dei fabbricati e degli stessi alloggi sono il conseguente corollario che accompagna il degrado morale di questi luoghi.
(Da rapporto di ricerca “di Napoli dove?” – Comune Napoli – Centro La Maieutica Roma 2005: Saggio di Antonio Memoli – Degrado urbano, disagio sociale pp 96/97)
L’analisi critica sulla urbanistica (ma si può anche dire sulla cultura urbana) dal dopoguerra a oggi può essere sintetizzata nella constatazione del prevalere della grande dimensione, sia concettuale che fisica, nelle concezioni e nelle produzioni degli urbanisti. Dimensione che ha prodotto degrado, segregazione, scarsa o nulla attenzione ai contesti di intervento, scarsa o nulla attenzione alla piccola dimensione e in particolare alle esigenze degli abitanti.
(Da recensione di Paolo Colarossi al libro di Filippo Barbera – L’insostenibile sofferenza della periferia. Le periferie napoletane dagli anni ’50 ad oggi – Guida editori – Napoli 2021)