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Vele di Scampia – Dentro i luoghi dello “scarto”
Dissolvimento dell’utopia progettuale – Fallimento del riscatto sociale
La dicotomia tra gli intenti progettuali e gli esiti insediativi è divenuta dagli inizi palese e macroscopica. I riferimenti disciplinari al rapporto tra cellula abitativa e zone di integrazione comune come nelle “Unité d’habitation” di Le Corbusier si scontrano con le immediate condizioni di inabitabilità degli alloggi e dei relativi nuclei familiari. Il Piano urbanistico incentrato su grandi unità abitative destinate ad integrarsi in comunità degenera in un ghetto, fallimento dell’utopia di riscatto sociale
A Scampia invece ciascun “edificio” è caratterizzato da quattro blocchi disposti parallelamente a due a due rispetto all’elemento di distribuzione principale. Tra i due blocchi paralleli, dal quasi identico profilo, corre un sistema di ballatoi inseriti nel vuoto centrale e disposti alla quota intermedia tra i due piani degli alloggi. Dal ballatoio centrale si dipartono le scale che servono gli alloggi. Come architetti non si può non rimanere affascinati dall’invenzione tipologica, geniale e interessante quasi quanto quella dell’Unité d’Habitation, ma l’effetto sull’ abitare è, secondo chi scrive, devastante (e lo sarebbe stato anche senza modifiche). Nell’ Unitè ciascun ballatoio è una strada urbana sulla quale si affacciano un numero “concluso” di alloggi; nelle Vele ciascun ballatoio rappresenta una strada da cui si dipartono stradine secondarie in una sorta di quadro Escheriano che ricorda le prigioni di Piranesi o, per altri versi, una più napoletana memoria dei Granili descritti da Anna Maria Ortese. L’idea dei due corpi accostati ….. nasceva dall’ipotesi di poter “moltiplicare” il vicolo napoletano n/2 volte i piani dell’edificio. Ma un vicolo ha una sola superficie orizzontale, sulla quale si affaccia una vita domestica via via più privata a mano a mano che si va verso un alto che “finisce” e lascia vedere un cielo… E’ questo, probabilmente, il grande limite di questo progetto… l’ipotesi che l’”Architettura” potesse coniugare antico e nuovo attraverso la sintesi di grandi archetipi e modelli, che l’ “idea” fosse sufficiente per poter ricostruire “in vitro” la struttura di relazioni materiali e immateriali della città storica, indipendentemente dal sistema di dimensioni e di proporzioni degli spazi… un problema di Bigness (Koolhaas 1995) o forse solo il grande scoglio sul quale si sono infrante le Vele, e con esse molte altre utopie italiane, prodotte dall’ “Architettura” con la A maiuscola, la stessa alla quale viene chiesto, oggi, di fare un passo indietro: non tanto per ridimensionare la sua azione quanto per modificare il suo sguardo e la sua logica interpretativa.
(In EWT │ Eco Web Town n°17 – Vol. I/2018 p. 95: intervento della Prof.ssa Paola Scala – Professore di composizione architettonica e urbana al Dipartimento di Architettura della Università Federico II di Napoli).
(Vedi anche intervento Arch. Antonio Memoli 11/10/1991) (riportato in Nota 3)